Responsabilità dell’amministratore per la totale mancanza di contabilità sociale; valutazione equitativa del danno

Si discute se nelle azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di una società fallita ai fini del risarcimento occorra una rigorosa dimostrazione del danno. Il problema si pone poiché talvolta non è possibile o è estremamente difficoltoso fornire siffatta prova, come nel caso in cui manchino le scritture contabili.

Innanzitutto, l’omessa tenuta delle scritture contabili non giustifica di per sé che il danno da risarcire sia liquidato in misura corrispondente alla differenza tra il passivo e l’attivo accertati in ambito fallimentare.

Peraltro, in una recente pronuncia la Corte di Cassazione ha affermato che nel caso in cui il danno non possa essere provato nel suo preciso ammontare (e l’assenza della contabilità effettivamente costituisce un ostacolo alla prova in quanto rende impossibile ricostruire le operazioni della società poi fallita) il giudice possa adottare il criterio equitativo, tenuto conto del fatto che le sanzioni fiscali irrogate per l’omesso versamento dei tributi e dei contributi previdenziali costituiscono un danno causalmente ricollegabile alla mancata tenuta della contabilità e alla mancata presentazione delle dichiarazioni fiscali.

Con la sentenza n. 27610 del 29/10/2019, la Suprema Corte ha affermato il seguente principio: “In sede di azione di responsabilità ex art. 2392 c.c., la totale mancanza di contabilità sociale (o la sua tenuta in modo sommario e non intellegibile) giustifica la condanna dell’amministratore al risarcimento del danno, vertendosi in tema di violazione da parte dell’amministratore medesimo di specifici obblighi di legge, idonea a tradursi in un pregiudizio per il patrimonio sociale, la cui entità ben può essere determinata, in via equitativa, in misura percentuale (nella fattispecie, pari al 30%) rispetto al maggior importo del credito erariale ammesso al passivo per effetto della omissione degli adempimenti tributari e contributivi”.